RIFLESSIONI SULLA SHOAH

di studentesse e studenti della classe II E

del Liceo Manara di Roma

a.s. 2009-2010


 

Quelle che seguono sono le riflessioni di tutte le studentesse e gli studenti della classe II sez. E del Liceo Manara di Roma a.s. 2009-2010, messe per iscritto a casa – durante le vacanze natalizie – a seguito della proiezione in classe del video relativo al viaggio ad Auschwitz del novembre 2007 organizzato dal Comune di Roma per alcune scuole medie superiori della città. Il video è stato realizzato dal sottoscritto docente accompagnatore di quel viaggio e sarà presto interamente scaricabile dal sito internet della nostra scuola:

 www.liceomanara.it > DOCENTI > DIPARTIMENTI > pagina personale del docente

Anche nei due anni successivi studenti e studentesse del nostro Istituto hanno partecipato al medesimo viaggio, tra i quali nell’ottobre 2009 due studenti e una studentessa di questa classe: Andrea Marcantoni, Varinia Nardi e Jacopo Undari.

Pure di questa recente esperienza è stato realizzato un video già proiettato nell’aula magna dell’istituto in occasione della Giornata della Memoria il 27 gennaio 2010. Speriamo di renderlo presto disponibile a tutti sul nostro sito.

Tuttavia il momento più toccante nell’ambito delle iniziative realizzate nel presente anno scolastico sul tema della Memoria è stato senza dubbio l’incontro degli studenti e studentesse del Liceo Manara con Sami Modiano il 6 febbraio 2010, nell’ambito della settimana di didattica alternativa. Il video integrale della testimonianza di Sami è da tempo disponibile sul nostro sito. Ringraziamo ancora Sami per la vivissima emozione che ha suscitato in tutti noi e la prof.ssa Stefania Buccioli che ci ha consentito di incontrarlo.

Un particolare ringraziamento al Comune di Roma per l’opportunità che annualmente ci concede di partecipare a questa iniziativa dal particolare valore didattico ed educativo.

Prof. Giovanni Combattelli

Liceo Classico Statale “Luciano Manara”

Roma, 24 maggio 2010


 

INDICE

DAVID ABBATTISTA                pag. 4

CECILIA BENEDETTI                pag. 5

GIADA BOE                             pag. 6

LUCREZIA BUCCIOLI               pag. 7

FABIO CAPORILLI                   pag. 8

VALENTINA CLEMENTI           pag. 9

GIULIA CONDULMARI            pag. 10

FEDERICA DI CORI                 pag. 11

LORENZO GATTA                   pag. 12

ELENA GILLI                            pag. 13

OTTAVIA LO SARDO               pag. 14

DARIO LOTTI                          pag. 17

ANDREA MARCANTONI         pag. 18

LUCA MOLTENI                      pag. 19           

VARINIA NARDI                      pag. 20

ALICE ONORE                         pag. 22

GUGLIELMO PICCIONE          pag. 23

FEDERICA RICOTTI                 pag. 24

BEATRICE ROSSI                     pag. 25

CHIARA SABATELLO               pag. 27

FRANCESCO SERAFINI            pag. 28

FILIPPO SCOTTI                      pag. 29

JACOPO UNDARI                    pag. 30

ANDREA VICINI                      pag. 31

 

 

 

DAVID ABBATTISTA

 

Testimone: la persona che assiste ad un fatto, o ne è a diretta conoscenza.

 

Sono passati settant’uno anni dal 1939. all’inizio di settembre Hitler invadeva la Polonia. Era iniziata la seconda guerra mondiale. Nazismo e fascismo si allargavano in Europa. Sorgevano i primi campi di concentramento. È il giugno del 1940 quando il campo di Auschwitz viene reso operativo. Molte, tante, troppe persone varcano il cancello di quel campo tristemente noto. Alcune, pochissime ne sono uscite. Queste persone sopravvissute, di età e condizione diversa in quel periodo, hanno vissuto sulla loro pelle e in maniera diversa l’uno dall’altro delle sensazioni probabilmente indescrivibili, o meglio, mai comprensibili nel profondo da chi non le ha vissute. Ascoltando o leggendo le loro parole si percepiscono in parte quali siano state le loro sofferenze. Fisiche, prima di tutto, dovute al duro lavoro svolto al freddo, al caldo, sotto la neve o sotto al sole e le pessime condizioni igieniche. Ma le violenze che hanno segnato in maniera evidente i sopravvissuti sono quelle psicologiche: abbandonare la propria casa, le proprie abitudini, vivere in uno spazio limitato, rinchiusi come animali, diventare numeri, essere considerati oggetti, e come se non bastasse vedere morire decine e decine di persone al proprio fianco; è sicuramente anche per questo che alcune persone che hanno vissuto quest’esperienza rifiutano il ricordo di quei giorni. Queste testimonianze sono fondamentali per non dimenticare e per continuare a tramandare i fatti vissuti da chi ha subito simili crudeltà. I Testimoni, ormai in età avanzata, cercano di vivere una vita normale, anche se quel tatuaggio, che li ha resi numeri, riporta la loro mente a quei momenti, chi era bambino ha solo delle immagini in testa, chi era già adolescente racconta episodi più dettagliati; ammiro e sono stupito da queste persone che, nonostante abbiano vissuto momenti terribili nel campo di Auschwitz, ci ritornano per raccontare alle nuove generazioni di adolescenti la loro storia. Guardando uno spezzone del film “Schindler’s List”, nelle immagini girate da Steven Spielberg, ho rivisto e riconosciuto la crudeltà e i modi di fare nazisti descritti dai testimoni. Questo tipo di ricostruzioni cinematografiche o anche quelle che puntano a ridicolizzare gli ideali nazisti, come “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin, insieme alla parole pronunciate o scritte dai sopravvissuti, sono elementi altrettanto utili per tramandare e per non ricadere in errori simili. Ma, nonostante questo grande e importante lavoro, e nonostante i crimini commessi dentro e fuori i campi di concentramento siano, probabilmente, sino ad oggi, l’apice della crudeltà umana, esistono persone che negano l’esistenza dell’olocausto, oltre a nostalgici ed emuli dell’ideologia nazi-fascista. Perché? Perché ancora oggi, a distanza di settant’uno anni, c’è chi insulta un’altra persona per il colore della pelle,per la sua etnia, la sua religione? Perché esistono partiti politici (se non di governo..) che basano parte del loro consenso sul razzismo? Non credo sia la paura del diverso, come spesso ho sentito dire, quanto un rifiuto del diverso; la paura può essere quella di mescolarsi con persone diverse. Ma l’umanità è andata avanti con un’unione continua di popoli diversi. Le parole dei testimoni dovrebbero essere ascoltate da molte persone, in molti dovrebbero provare a pensare (sempre che ne abbiano le capacità!!) e domandarsi: “e se io ero lì al loro posto?”

 

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CECILIA BENEDETTI

 

Come tutti gli anni anche quest’anno, grazie a un’iniziativa del Comune di Roma, alcuni studenti della capitale hanno avuto l’occasione di visitare il campo di concentramento di Auschwitz e Birkenau, in memoria dei milioni di vittime causate come al solito dalla pazzia umana.

Tengo a sottolineare con una certa premura il termine “come al solito”, perché purtroppo si tende a vedere questo genocidio (che per inciso non è stato neanche l’ultimo da allora …) come una cosa a noi estranea, o meglio, come una cosa subumana, impensabile.

Io penso che noi siamo come i nazisti, né più né meno: abbiamo due reni (o almeno i più fortunati), respiriamo, il sole ci dà fastidio agli occhi, ma soprattutto siamo influenzabili, siamo come delle pennette USB che qualcuno più furbo può riempire a suo piacimento nel bene e nel male, è tutta una questione di cosa ci si mette dentro.

Nel caso del Terzo Reich, le teste furono riempite del male più totale, ma oggi potremmo dire di essere diversi ? Per esempio, il discorso degli zingari è uno dei più delicati e scottanti che si possano proporre al momento, ma per questo uno dei più interessanti. Conviviamo con loro tutti i giorni e ne sentiamo parlare in televisione, ma non esistono persone che non si sentano a disagio in loro presenza. Gli zingari sono veri e propri “brutti sporchi e cattivi” della nostra società.

Purtroppo l’italiano medio ignora completamente tutto ciò che c’è alle spalle della condizione di vita di queste persone. Nessuno infatti assumerebbe un uomo di etnia rom e spesso i tanti casi segnalati alle autorità di tentati furti sono del tutto immaginari, figli di una psicosi collettiva che tutti ci portiamo dietro. Questa paura nasce dalla non conoscenza dello loro abitudini e della loro cultura a causa del fatto che gli zingari raramente si integrano con la popolazione locale (che è un po’ come facevano e a volte fanno tuttora gli italiani emigrati all’estero).

La nostra ignoranza ci ha portato in situazioni di puro razzismo, come l’episodio avvenuto nel parco acquatico di Hydromania alle porte di Roma: una famiglia di rom si è vista chiudere i cancelli in faccia quando hanno provato a comprare dei biglietti per entrare, questo perché era vietato l’accesso alle persone di etnia rom, anche se paganti.

Il culmine di questa paura è stato il ritorno della vecchia leggenda metropolitana per la quale le donne zingare rubino i bambini nascondendoli sotto le gonne, per poi far loro compiere piccoli furti o elemosina. Il caso più popolare è quello avvenuto a Palermo due anni fa: una donna avrebbe tentato di “rubare” un bambino in uno stabilimento balneare.

In realtà basta una breve ricerca su internet per sfatare questo mito. Infatti nell’archivio dell’arma dei Carabinieri non esistono casi accertati di minori presi dai rom, inoltre i minorenni tra gli zero e i dieci anni di cittadinanza italiana scomparsi nel nostro paese nel 2007 sono settantotto (contro i duecentomila zingari residenti in Italia). E’ invece tristemente vero il fatto dei bambini dell’est Europa venduti dalle proprie famiglie agli zingari per elemosinare, bambini che solo un’accurata ricerca su internet ci mostra, che si possono ritenere fortunati se infilati di corsa tra una notizia e l’altra del telegiornale.

 

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GIADA BOE

 

Il 15 dicembre 2009 abbiamo iniziato a guardare il video con le riprese dell’esperienza ad Auschwitz del nostro professore  e di quattro studenti del Manara, risalente al 2007 nell’ambito del progetto “Viaggio della Memoria”. Prima di iniziare a parlare del video è necessario ricapitolare il contesto storico e gli eventi fondamentali. Nel 1933 Hitler prese il poter democraticamente in Germania. La discriminazione verso gli ebrei era sempre stata relativamente presente, ma ancora non si era mai dato il via ad una vera e propria persecuzione, infatti, fino al 1939 a Dakau, primo campo di concentramento creato dai nazisti non ci sono ebrei, ma nemici politici, omosessuali, zingari. Ai semiti fino a quel momento si era sempre pensato come ad una razza inferiore la quale era necessario riunire e mettere da parte, l’unico problema consisteva dunque, al momento, nel “trovar loro un posto”. Quando però nel 1941 i tedeschi decisero di invadere la Russia, in seguito alla presa dell’Ucraina, si resero conto che in realtà gli ebrei costituivano una parte troppo numericamente consistente da poter essere raggruppata in un unico posto. E’ così che nacque l’idea di gassazione: ossia pratica di vero e proprio sterminio mediante questi gas mortali forniti in “comodi” barattoli marcati Zyklon B dall’omonima società. Da questo momento in poi la deportazione inizia sistematicamente e quasi in maniera meccanica, carichi e carichi di persone diventavano cenere sparsa per i campi e i corsi d’acqua ad essi circostanti. Grazie ai testimoni intervistati nel video possiamo parzialmente ricostruire come avvenissero le suddivisioni, inizialmente in uomini e donne per non destare sospetti ed evitare che potessero esserci eventuali ribellioni, poi avveniva un secondo smistamento attraverso cui si salvavano pochi fortunati (se così possiamo definirli) che venivano destinati ai lavori più infimi tra cui ad esempio il recupero dei cadaveri e la loro eliminazione, o altri erano costretti a subire operazioni e sperimentazioni sul loro corpo da parte di Josef Mengele che è ciò che ad esempio è successo alle sorelle Bucci (presenti nel video) risparmiate entrambe perché da bambine erano talmente simili da essere scambiate per gemelle, “ottime” dunque come oggetti di sperimentazione. Il video continua tra i resti dei campi occultati dal tempo e dalla neve, tra gli oggetti appartenuti a migliaia e migliaia di vittime, molti dei quali sono anche stati distrutti. E’ evidente infatti che la quantità di oggetti personali e dunque di rispettivi proprietari doveva essere estremamente più elevata di ciò che si vede oggi, tutti oggetti di vita comune che richiamano in maniera ancora più allarmante l’assurdità della situazione perché quando vedi una pila enorme di scarpe schiacciate attraverso il vetro di un museo cominci a sentire una stretta al cuore, e non c’è bisogno di metterti a fare quattro calcoli per renderti conto dei numeri ai quali sei di fronte, della vita che è stata loro strappata, violata e rigettata ai piedi. Pochi quelli che hanno avuto la forza di riassettarla e indossarla di nuovo. Come biasimare però quelli che non ce la fanno ? Vorrei parlare del video passo passo, così come lo abbiamo visto, ma penso che non sarei in grado di rendere l’idea, quanto soffermandomi magari sulle impressioni che ho avuto io personalmente. Questi tipi di progetti sono importantissimi per rendere partecipe la mia generazione degli orrori che sono successi, e per impedire alla precedente di negarli. Perché è assurdo pensare con quanta leggerezza sia possibile eliminare degli esseri umani, o pensare alla cieca follia che ha sicuramente guidato mandanti ed esecutori di questo massacro. Il fatto stesso che siano stati adibiti dei campi, come luoghi di vero e proprio sterminio, non fa altro che sottolineare la perversione di questo pessimo periodo della nostra storia. Mi piacerebbe poter parlare con coloro che ci sono ora, forse con il copro ma non con la mente, che probabilmente hanno lasciato lì giù.

Chissà come può apparire a loro il mondo di oggi, chissà se s’indignano per le stesse cose per cui m’indigno io, chissà come suona a loro un “Yes we can” di Obama. Dove vorrebbero essere ora ?

 

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LUCREZIA BUCCIOLI

Auschwitz,come si può sopportare il ricordo da vivi?

 

Ora nei campi in Polonia c’è il verde,cade la neve,gelida come allora ma inoffensiva adesso,imbianca tutto quasi a celare il dolore,la sofferenza la tragedia,restia nasconde col suo manto il segreto più atroce,i passi silenziosi di coloro che vi erano segregati, le impronte di chi con gli stivali delle divise impartiva ordini ai fantasmi,ai fantasmi col cuore,a quelle persone che non erano considerate tali ,lì,lì dove tutto era possibile fare loro, lì dove un nome era una matricola,un numero,un marchio , lì dove tutto ciò che gli apparteneva veniva trafugato,venduto,distrutto,lì dove tutto ciò che rimaneva delle famiglie era la cenere e qualche valigia,lì dove coloro che sopravvivevano ed erano considerati privilegiati venivano cancellati dal mondo ,venivano convinti di “non essere” venivano derubati delle emozioni,erano continuamente depredati di pudore e dignità fino alla morte. Chi è uscito da quella fabbrica di dolore e distruzione non è privilegiato,perché non c’è dolore più grande che portare negli occhi le immagini della morte,le infinite rappresentazioni della disperazione,la figura dei camini fumanti,l’odore dei forni,il rumore del pianto la visione di se stessi e degli altri ridotti come cadaveri, con la sola forza di camminare e con il solo pensiero del dovere,del lavoro,come unica salvezza alla morte. Più che piangere chi per primo li dentro ha trovato la morte non si può fare, ma cosa significa veramente tornare da Auschwitz? Come si può descrivere la forza d’animo, fisica, la sopportazione che hanno provato coloro che sono stati liberati,e quanto possono essere identificati come fortunati? Io credo che chiunque li dentro abbia assistito alla sola straziata separazione di una madre da un figlio ,alla fulminea decisione fra vita e morte fatta da altri per chi pensava soltanto di essere venuto a lavorare,al continuo inganno,dalla loro casa fino alle docce,per rendere ancora più inaspettata una fine che lo era già,perché nessuno può spiegare come possa accadere che un giorno come tanti ,diventi l’inizio del più terribile dei calvari,non è ammissibile che persone considerate diverse,vengano catapultate dalla loro vita,normale,in un treno merci che descrive la parola stessa,non adatto nemmeno agli animali,in un viaggio interminabile che è solo la prima delle loro sofferenze,in una realtà apparentemente organizzata,programmata si, ma non per il lavoro, non alla produzione, ma bensì all’annientamento completo di una intera razza,umana,non animale,considerata semplicemente inferiore. Credo che naturalmente le parole non bastino a testimoniare effettivamente ciò che lì dentro è accaduto,nessuno mai riuscirà a spiegare cosa per qualcuno ha significato raccogliere i cadaveri della sua stessa gente e sopravvivere fisicamente ma essere annullato dentro da una visione così atroce come chi era parte del Sonderkommando ,come non si può raccontare veramente chi era impiegato nel Kanada,che tutti i giorni ordinava con cura quelle che un tempo erano cose sue,che vedeva i simboli e le usanze del proprio popolo trafugate come cose di poca importanza,importanza che veniva data invece all’infinita ricchezza raccolta negli espropri,quello si che era rilevante,il ricavo,perché non bastava depersonalizzare un individuo ,distruggerlo nel corpo e nell’anima ma ovviamente questo doveva portare un tornaconto e se questo profitto lo potevano apprezzare nella soddisfazione delle loro opere non potevano non trovarlo nel portare via ogni cosa a quelle che ormai per loro non erano e non erano mai state persone. Infine penso che non ci saranno mai abbastanza parole spese a riguardo,mai abbastanza racconti mai abbastanza lacrime,perché nulla di tutto ciò potrà ripagare chi lì dentro è deceduto cancellare ciò che lì dentro è accaduto e di cui noi ,dobbiamo necessariamente prenderci l’onere e l’onore di ricordare,per tenere viva la memoria dell’esempio più grande di distruzione del fondamentale diritto dell’esistenza che per tutti è inviolabile e che lì su quella terra che accoglie il più grande luogo di strazio è stato infranto.

 

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FABIO CAPORILLI

 

Nelle ultime quattro ore di lezione del mese di dicembre abbiamo visto in classe un filmato realizzato dal professor di italiano, riguardante il progetto sulla Shoà, organizzato e finanziato interamente dal “Comune di Roma”. Dopo il 1 Settembre 1939, il regime nazista diede inizio alla deportazione degli ebrei e alla fase di “ghettizzazione”. Con il fallimento di questa, si cominciarono ad usare le gassazioni per sterminare gli ebrei e i campi di lavoro vennero trasformati in campi di sterminio. L’ ultima fase, detta “liquidazione” o “ soluzione finale” scatenò una serie di stermini di massa del popolo semita in tutta Europa. Il video proiettato in classe è diviso in due parti: la prima contiene la visita ai campi di Auschwitz I e Birkenau, mentre la seconda le interviste ai superstiti che si salvarono dall’ abominevole sterminio. Nella prima parte del video viene mostrato il campo di concentramento. Superato il cancello che tuttora ha affissa la scritta “ Il lavoro rende liberi”, che è stata recentemente rubata, appare il campo che conserva la struttura di caserma, poiché solamente dopo l’inizio della guerra fu adibito a campo di prigionia e poi di sterminio, perdendo il suo ruolo originale. Sono presenti nel lager i forni crematori, che furono ricostruiti dalla ditta che li fabbricò per il regime nazista dopo che i tedeschi li distrussero per cancellare le prove dello sterminio, le docce, che venivano usate per le gassazioni,  la Sauna nella quale avveniva un’ ulteriore selezione dopo quella presso la stazione ferroviaria. Inoltre il campo è stato adibito come museo e vengono messi in mostra le immagini dei deportati, gli oggetti personali delle vittime, come valigie, occhiali, spazzole, stampelle e scarpe, e c’è anche una vetrina nella quale sono conservati i capelli. Dopo la visita ai campi, inizia la seconda parte che contiene le interviste ai superstiti della strage, che raccontano le loro vicende e le loro esperienze avvenute nel lager, le quali, nonostante l’ età avanzata, i deportati non hanno mai dimenticato. Le sorelle Andra e Tatiana Bucci furono salvate alla prima selezione in quanto, a causa della loro somiglianza, il dottor Mengele le scambiò per gemelle. Esse raccontano delle morte del cugino.

 

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VALENTINA CLEMENTI

 

… ed ora sono nel vento

 

La tolleranza è sicuramente il miglior fondamento su cui costruire i rapporti umani. Tolleranza non significa solo non opporsi alle idee di qualcuno, significa anche capire che cercare d’indebolire o attaccare la fede o le credenze religiose altrui è sempre stata una scorciatoia per “ritrovarsi nei guai”. Non c’è nessuno che avendo perpetrato attività di intolleranza, di razzismo, di sterminio di razze, abbia mai avuto ragione dalla storia e dagli uomini. E così oggi, sguardi fedeli di voci commosse e sommesse ci testimoniano lo scempio di tempi feroci, quello dello sterminio degli ebrei. Intere famiglie di cittadini provenienti da ogni Paese, con la sola “colpa” di essere ebrei di nascita, furono deportate nei campi di sterminio e lasciato al loro destino, di morte immediata o di stentata sopravvivenza. I campi erano strutturati in modo tale che solo una piccola parte riusciva a superare la prima selezione, ossia erano utili per il lavoro ed erano in buona salute, gli altri venivano inviati nelle camere di sterminio, uccisi con l’inganno di farsi la doccia con gas tossici, o usati per esperimenti genetici. La prima violenza che subivano i pochi che non venivano inviati al gas era la “depersonalizzazione”: li separavano da tutti gli oggetti personali, dai ricordi, dalle scarpe, dai capelli, i loro indumenti li potevano scegliere a caso tra tanti. Vivevano in condizioni talmente misere e frustranti che invece di spalleggiarsi e resistere contro il nemico, si comportavano a volte, come bestie inferocite, spiandosi a vicenda solo per un piatto di brodaglia in più, o si derubavano tra loro. “furono privati della dignità di essere uomini” questo dice Primo Levi. Un altro modo per strapparli alla loro vita fu quello di incidere sulla loro pelle un numero, che diventava, per coloro che avevano la fortuna di sopravvivere, un marchio indelebile, per se stessi e per tutte le generazioni a venire. Così, l’idea di Hitler era quella di creare una razza eletta, pura, perfetta, tramite studi genetici, esperimenti di accoppiamento a volte. Voleva la perfezione, ma lui non era nulla di tutto quello che avrebbe voluto che gli altri fossero. Cercava la razza perfetta, ma lui non lo era affatto. Oggi alcuni parlano, ma quante voci l’intolleranza nel tempo ha fatto tacere, quanti avrebbero dovuto parlare e non ce l’hanno fatta a vedere quella candida neve che oggi ha sepolto le strade di quell’inferno di fuoco. I tetti e le strade sono innevate, una neve bianca, pura, sembra eterna, intoccabile, inscrollabile,quasi a seppellire qualcosa che lì giacerà per sempre. Vuole tenere nascosto un segreto, lì, fermo nel tempo, in un istante, in quell’istante in cui il nome “diverso” ha scalfito quei luoghi. Magari, scavando nel profondo, potremmo scovare quella polvere, che un tempo colorava di nero il vento.

 

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GIULIA CONDULMARI

 

Ricordi

 

A lungo si è parlato dello sterminio degli ebrei. Quante volte la giornata della memoria ha permesso alla gente del nostro secolo di conoscere storie pietose e indescrivibili, tanto da lasciare nei cuori vergogna per i nostri antenati che hanno avuto il coraggio di ignorare tutto questo!

Tanto abbiamo parlato sulla discriminazione sociale che ha fatto sentire per lungo tempo questa povere persone inferiori, inesistenti. Fu tolta loro l’identità , vennero trattati come carne da macello, ma furono lasciate loro sempre vane speranze, con continui e continui imbrogli.

Ciò che suscita la nostra curiosità è: come è potuta continuare la vita dopo simili traumi? I sopravvissuti hanno saputo e potuto ricrearsi un futuro sereno dopo?

Trovandoci in uno dei peggiori campi di sterminio della seconda guerra mondiale, il famoso campo di Auschwitz Birkenau, con i racconti in prima persona di sopravvissuti, dagli occhi persi nel vuoto, un vuoto di ricordi e dolore, tutti i racconti sembrano prendere vita nuovamente.

“Allora eravamo identiche, tanto che ci scambiarono per gemelline”, parlano le due sorelle Andrea e Tatiana Bucci. Al tempo erano due bambine di soli 4 e 6 anni. Sono sopravvissute perché vennero scambiate per gemelle e usate per esperimenti assieme ad altri bambini, tra i quali il cugino, il quale, tanto amato dalle due sorelle, con le lacrime agli occhi nel raccontarlo, ha potuto vivere solo la sua infanzia.

Le sorelle Bucci hanno saputo ricrearsi una vita. Tutto ciò le ha rese inseparabili, anche perché, anche se ignare di ciò che le accadeva intorno, scene atroci rimarranno incancellabili. Non hanno mai perso l’occasione di giocare, superando con facilità qualsiasi dolore, in maniera incredibile per bambine di così pochi anni, come quando capirono che la madre non sarebbe più tornata a trovarle di nascosto.

Salutando con calorosi baci e abbracci gli latri sopravvissuti, le due sorelle lasciano in anticipo il viaggio del 2007 di cui abbiamo visto il video in classe.

Altri sopravvissuti, come Shlomo, ventenne a quel tempo, e Goti, quasi coetanea, riescono a descrivere in maniera più concreta la loro storia. Il primo, allora ragazzo assai robusto, fu scelto per lavorare nel crematorio. Il suo compito era quello di portare via i cadaveri dei poveri sfortunati, morti in circa 15 minuti, di una morte lenta e dolorosa nelle docce: i corpi più deboli venivano buttati a terra da altri, che salendo su questi cercavano di arrivare in alto per respirare meglio e sfuggire dall’asfissia che arrivava lentamente. Questa piramide di cadaveri veniva presa e portata a cremare, in un fuoco talmente ardente da sciogliere immediatamente i corpi.

Questo era costretto a fare Shlomo. L’odore pesante rimarrà per sempre nella sua memoria , come l’immagine di quella nebbia di cenere proveniente dal crematorio che avvolgeva il campo, come ci racconta anche Goti.

“Non odiamo i tedeschi, anche se sentire la loro lingua fa male, noi odiamo i nazisti”, con queste parole questi eroi affrontano la fredda giornata fra ricordi di lacrime e dolore. La sera i ragazzi fanno altre domande, anche in privato con ciascuno dei sopravvissuti. Essi resistono, ancora e ancora, probabilmente nella speranza di continuare a far vivere il ricordo negli anni, in particolar modo contro l’ignoranza dei nazisti di oggi.

 

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FEDERICA DI CORI

 

Il 12 novembre 2007 le scolaresche romane sono state accompagnate in visita ad Auschwitz dal sindaco Walter Veltroni e da alcuni ex deportati e noi abbiamo visto in classe un video su questo viaggio. Le testimonianze dirette hanno accompagnato i ragazzi nel “viaggio della memoria” che ha avuto come prima tappa Birkenau, il campo di sterminio che ancora conserva gli spogliatoi per la disinfestazione e ruderi delle camere a gas e dei forni crematori dove si consumò la shoah. Sami Modiano, nato a Rodi nel 1930 fu deportato ad Auschwitz il 3 agosto 1944 quando aveva solo 13 anni. Ha raccontato la sua esperienza – come ho letto su Shalom – e si è salvato grazie a un treno di patate da scaricare. Le due sorelle Bucci hanno raccontato degli orrori che il loro cugino subì da un collega del medico tedesco Mengele in un altro campo. La seconda tappa del viaggio è stato il campo di Auschwitz: il suo museo ospita mucchi di scarpe capelli protesi e valigie di deportati. In serata i testimoni si sono prestati a rispondere alle domande degli studenti. Il giorno successivo gli studenti hanno fatto ritorno a Roma. Il viaggio della memoria è stato promosso in quanto consente agli studenti di osservare con i propri occhi ciò che rimane del più grande genocidio della storia. Andando al di là del semplice sentito dire, un ragazzo di 17 anni può arricchire la propria conoscenza con immagini reali, che certo rimarranno impresse nella mente più delle parole. Il viaggio è un’esperienza formativa che richiede già una profonda consapevolezza della tragicità degli eventi, in quanto da lì esci cambiato, diverso e cresciuto, ma anche turbato. Una tale esperienza è una forza che unisce noi che siamo i figli del dramma poiché ci consente di apprezzare la sacralità della vita e valori come libertà, fratellanza e tolleranza e di ricordare insieme, con vergogna e disprezzo, l’epoca in cui l’uomo li ha dimenticati, un passato incancellabile, per cercare di renderlo, per quanto possibile, una ricchezza per il presente. Le parole dei testimoni sono uno spunto di riflessione sullo stato psicologico dei reduci: lo stesso Sami Modiano ha detto di essersi chiesto più volte perché proprio lui fra gli ebrei di Auschwitz ne sia uscito sano e salvo. Domande come questa, che non possono trovare una risposta sensata, lasciano un senso di colpa profondo, un peso con il quale sei costretto a convivere. Per i testimoni raccontare la loro esperienza è un modo per rielaborare  il dolore provato e per far sentire la voce anche di coloro che non ce l’hanno fatta. Questo può essere il solo e unico modo per riscattarli. La Memoria è indispensabile per noi, che con lei cresciamo, e per i suoi protagonisti.

 

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LORENZO GATTA

 

Arrivarono sul campo senza capire dove fossero,arrivarono sul campo cercando di trovare i loro cari,arrivarono sul campo e subito furono ingannati,ingannati da un’altra lingua,che dietro un finto sorriso celava l’inizio di un massacro. Arrivarono nel campo e per molti di loro era già la fine.

Prendono gli anziani,prendono le donne,prendono i bambini,”vi facciamo fare una doccia,ricordatevi il numero dove avete lasciato gli indumenti”-l’ennesima bugia-“venite”.Chi può avere timore nel fare una doccia?Figurarsi poi dopo un viaggio estenuante in un treno,trattati più da merce,che da persone. Ma quello che poteva essere un piccolo sollievo,una doccia calda,una cosa normalissima,diventa un orrore,l’inizio di un massacro. Neanche il “sollievo” di una morte rapida, no, persino per gli animali al macello è meno doloroso.

Per loro c’è solo l’agonia.

Cinque,dieci minuti,cosa sono mai?E mentre vedono il loro cari accasciarsi a terra,la vita la abbandona lentamente,il gas li asfissia con calma,con una lenta ma costante azione e dopo che gli hanno levato tutto,i beni,i cari,tutto,veramente tutto,persino l’aria,gli levano anche la vita.

Senza alcun rispetto,senza pietà gli levano capelli,denti d’oro,qualunque cosa si possa riusare.

Tanto cosa hanno davanti?Un essere umano?Non sia mai,forse un animale?Nemmeno,persino a quelli viene dato maggiore rispetto. Allora cosa hanno davanti?

Nulla.

Un niente,o forse anche meno.

Ma si sbagliavano,la risposta era un essere umano,o forse di più,un fratello. No, ancora di più, davanti avevano un innocente.

Un innocente al quale sorridendo indicavano la doccia.

 

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ELENA GILLI

 

Tutti abbiamo il diritto di ricordare e di sapere ciò che è accaduto in passato. Tutti dobbiamo sapere cosa rappresenta la parola “Shoah”, “annientamento”, che indica perfettamente i crimini commessi dai nazisti nei confronti di una determinata parte del’umanità, considerata da lo inferiore. Per ricordare e capire mi sono state utili le lezioni durante le quali ci è stata data la possibilità di ascoltare testimonianze di alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento. Tra le varie testimonianze una che mi ha colpito particolarmente è stata quella di Shlomo Venezia, un deportato sopravvissuto all’internamento nel campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Durante il periodo di prigionia fu costretto a lavorare nel Sonderkommando, unità speciale composta di deportati che avevano il compito di smaltire e cremare i corpi dei deportati uccisi dal gas. Venezia è uno dei pochi sopravvissuti di questa unità speciale, poiché i componenti venivano periodicamente eliminati per mantenere il segreto dello sterminio degli ebrei. Altra testimonianza significativa è stata quella delle sorelle Bucci, Tatiana e Andra, spedite nel campo di concentramento al’età di 4 e 6 anni, che riuscirono a salvarsi dalla prima selezione poiché scambiate per gemelle. Una volta arrivate furono mandate a fare la doccia e dopo essere state marchiate con un numero sull’avambraccio furono mandate nella baracca dei bambini dove iniziò la loro vita ad Auschwitz. Raccontano che la madre quando poteva le andava a trovare ricordando loro sempre i nomi per non far perdere l’identità personale, ma quando un giorno la madre non andò più, loro pensarono che era morta. Non provarono dolore, proprio perché la nuova vita nel campo aveva loro sottratto un pezzo d’infanzia. Un altro ricordo importante è quello del loro cuginetto Sergio che all’età di 7 anni fu trasferito a Neuengamme vicino ad Amburgo e che fu destinato ad una morte atroce, usato come cavia per esperimenti sulla tubercolosi. Tante altre sono state le testimonianze importanti, ma mi ha colpito maggiormente l’intervento di uno dei testimoni che quando gli è stato chiesto se prova odio verso i nazisti ha risposto che naturalmente serba tuttora rancore verso di loro, ma quello che gli fa più paura è vedere che ancora oggi ci sono persone nel mondo definite neo-naziste che credono in quegli ideali di razzismo, aggiungendo che mentre i nazisti di Hitler sapevano il motivo vero delle loro gesta, quelli odierni continuano a professare questa ideologia senza rendersi conto dell’assurdità della cosa. Aggiunge inoltre che il suo odio non è verso la Germania, vittima a sua volta della dittatura nazista, ma solo verso il nazismo e coloro che aderiscono a esso. A mio parere non si può permettere che le generazioni future vivano ancora una tragedia simile, ma si deve tramandare per non cancellare e on rimanere nell’apatia. Dobbiamo ascoltare le testimonianze di quei sopravvissuti a cui l’antisemitismo ha distrutto una parte di vita. Per gli ex-deportati è difficile raccontare, è un brutto tuffo nel passato, un ritorno al dolore che vorrebbero rimuovere per ricominciare a vivere veramente. Anche loro sentono il diritto ed il dovere di testimoniare. Non devono avere però rimorsi perché non è una colpa essere sopravvissuti; raccontare è un dovere, un segno di rispetto verso la morte dei loro compagni, perché essa non sia stata inutile o solo un buco nero della storia. Perché non possiamo negare il passato e pretendere di costruire un futuro migliore. Io mi ritengo fortunata per aver avuto la possibilità di ascoltare le testimonianze dirette, vissute in prima persona. Ed è anche per questo che io voglio conoscere, per aiutare la memoria collettiva a non dimenticare.

 

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OTTAVIA LO SARDO

 

L’incubo della realtà

 

Vi è mai capitato, nel cuore della notte, di risvegliarvi a seguito di un sogno inquietante, e di riflettere, in un groviglio di pensieri e di immagini molto precise, su ciò che avete sognato fino a pochi istanti prima ?

La giornata era stata molto stancante: la scuola, i compiti, ed altre preoccupazioni.

Essa, però, era stata segnata soprattutto dalla visione di un filmato sui campi di concentramento, seguito da una discussione, altrettanto forte, sull’argomento.

Nella mia testa si erano fissate le parole, le immagini, l’orrore e lo sdegno, e tutte le passioni mosse nel mio animo meno di una giornata prima. Il tempo aveva dato modo alla mia testa di unire concetti, elaborare riflessioni e far nascere fantasie, sino a creare un groviglio che il mio subconscio aveva respinto sin nel profondo, ed ora che ci penso rammento già da questi ricordi, la faccia del bambino emergere dal buio dei miei pensieri e sprofondare subito dopo.

La mia immaginazione aveva dato vita a quella creatura, simbolo della sofferenza e dell’abominio dei campi, e la stava preparando per la notte.

Così arrivò l’ora di coricarsi.

 

Riaprii gli occhi nel mondo dei sogni.

Come in sogno la realtà era coperta da un velo, ed ogni luminescenza risultava opaca. Ogni movimento in questa realtà lasciava una scia, che lentamente si disperdeva dietro l’oggetto che la creava; così era per oggetti, animali ed esseri umani. Così era per me.

Faceva freddo anche se il cielo era limpido.

Subito sentii il gracchiare di uno stormo di corvi che componevano figure astratte e scheletriche, spigolose ed inquietanti, caratterizzate da un nero più scuro del buio ed impregnate dell’odore di morte. Venivo raccolta dallo stormo e trascinata nella confusione; a tratti mi vedevo da fuori, altre volte vedevo attraverso i miei occhi.

Il turbinio di penne, piume ed artigli si sciolse rivelandomi in basso una stazione coperta da un lenzuolo di mutismo: file di gente – uomini, donne, bambini ed anziani – scendeva da vagoni di ferro arrugginito.

Sembravano bestie, e a testa bassa camminavano avanzando passi sincronizzati e precisi. Ad ordinare questo gregge c’erano degli uomini fatti di oscurità, vesti militari e manganelli.

Per ogni fendente menato con l’arma di repressione sui poveretti cadeva sangue, ma ogni goccia aveva la forma di un seme, che come toccava terra dava vita ad un albero morto da cui pendeva l’ombra dell’essere umano colpito.

I poveretti venivano condotti davanti a degli ufficiali che segnavano i loro nomi, in seguito venivano divisi: anziani e bambini da una parte, uomini e donne giovani e in salute da un’altra. Sembrava che un fiume di gente sgorgasse dal vagone del treno e si dividesse nei rami di un delta. Ebbi un capogiro e caddi.

Buio per un momento, dopo, la luce, e pochi istanti dopo, il suono di voci metalliche in una lingua sconosciuta, come di ordini impartiti.

Venivo sollevata da braccia magre, scheletriche.

Sotto di me il morbido: una distesa di capelli senza proprietario che si estendeva sino all’orizzonte. Più in là montagne di gambe finte, valigie, occhiali, orologi, bambole ed abiti.

Gli abitanti di questo posto erano ombre che vagavano senza volto, si sentivano solo lamenti ed ordini. Il cielo era rosso, tutt’intorno vi erano muri di mattoni alti e torrette di guardia.

Alla mia destra notai un edificio: un comignolo alla cui base un’enorme fornace che accoglieva un braccio del delta, quello con anziani e bambini.

 

Gridai, mi volevo svegliare ma una vocina di bambino mi rispose: “Non si può scappare, tutto intorno c’è filo spinato. Benvenuta ad Auschwitz-Birkenau. Io non sono più nessuno,solo un numero, tu chi sei ?”.

Risposi tentennando, dietro quell’esserino pelle e ossa la realtà parve sbrogliarsi dal suo intrigo di irrealtà, ed il sogno sembrò diventare ancora più reale. Chiesi  come mai indossasse quell’abito e cosa volesse dire Ausschwitz-Birkenau.

In tutta risposta mi chiese se mi piacesse l’abito che indossava. “E’ fatto con le ossa del nonno” disse poi come per spiegarmi “Auschwitz-Birkenau è quel grande recinto dove veniamo stivati per lavorare o per morire in tanti. Scendiamo dal treno alla stazione chiamata Juden Rampe, e veniamo divisi, ma non sappiamo da subito che andiamo a morire, anche se qualcuno già lo intuisce o l’ha sentito dire. Vecchi e bambini moriranno perché non sono  utili, invece gli uomini e le donne in salute lavorano separati per sesso sino a morire qui”. Infine indicandomi della gente che scavava e un edificio disse: “E’ lì che si lavora. Qui per lo più si dorme o si muore nei forni. Vedi quei casoni? Lì si viene stivati in letti di legno e con coperte che coprono poco poco, invece per il bagno c’è un secchio, proprio come nei vagoni del treno che ci hanno portato sin qui”.

Le sue parole uscivano chiare, cristalline e serene, come raccontasse una storia, ed io non potevo far altro che ascoltare. Percorrevo con lui una strada ma cercavo di non guardare ciò che indicava, stavo cercando di preservare me stessa da qualcosa che poco prima andava oltre la  mia immaginazione. Continuò a spiegarmi “Sai, dai vagoni non sono scesi solo gli ebrei, ma anche gli zingari. Ora non li vedi perché sono spariti nel giro di una notte: facevano festa da giorni, poi una sera all’improvviso si sono uditi alcuni ordini, degli spari e poi il silenzio. Gli zingari erano tutti spariti. Ecco! Quello è il loro recinto”.

Chiesi dove fossimo diretti. Mi spiegò che seguivamo la strada per i forni, ma dirottò la discussione su altro, sulla vita nei campi. “Auschwitz, un altro complesso simile a questo, ma più utile al lavoro che allo stivaggio dei “capi”, un’enorme scritta “Arbeit macht frei” dà l’illusione ai prigionieri che il lavoro renda liberi (questo è il suo significato) e proprio questo si fa: si lavora nelle acciaierie, nei forni, si toglie l’oro dai cadaveri, ed ogni altro genere di opera. Tutto in condizioni tremende e trattati come delle bestie. Inoltre ogni categoria di prigionieri viene distinta da simboli colorati. Quelli trattati peggio sono gli ebrei, seguono gli zingari, gli omosessuali e i prigionieri politici (quelli trattati meglio).

Mi domandavo che fine facessero quelli che non potevano lavorare.

“Qualche volta la dissenteria dà l’opportunità di fare qualche giorno di vacanza in infermeria, sempre che non debbano essere eliminati i “capi” (Sì, venivano chiamati come le bestie) per fare posto, ma le realtà è un’altra: chi non può più lavorare viene spedito nei forni, ma prima passa per le docce”.

Non capii subito cosa intendesse con “docce”, eppure da lì a breve compresi.

La lunga fila di ombre entrava in una sorta di sottopassaggio, e qui riacquistava forma umana deperita ed impassibile, senza emozione, proprio come dei manichini. Erano tutti vecchi e bambini, qualcuno accompagnato dalle mamme.

 

 “Prima di tutto, se sei un bambino, un anziano, malato o per qualche ragione non puoi lavorare - come dicevo prima – devi passare per di qui. Se stai qui già da tempo lo sai, sai cosa accade. Ma se sei come noi, appena arrivato e confuso, sai che devi andare a farti una doccia che non farai mai. Ti racconto cosa avviene lì dentro perché non voglio che tu entri assieme a noi. Io ci sono stato e non mi è piaciuto per niente.”

Rimasi convinta da quegli occhietti che per un istante lasciarono trapelare un velo di malinconia. Vidi la gente, portava con sé valigie ed indumenti diversi, anche il bambino non era più vestito uguale: indossava abiti diversi, beli, comodi e caldi, niente più pigiama a righe.

“Ci fanno entrare e subito ci dicono di svestirci negli spogliatoi, proprio come quelli delle piscine, solo un po’ più spogli. Ci sono gli scomparti dove lasciare scarpe e gli oggetti che non ci hanno sequestrato all’arrivo. Entriamo tutti nudi. Ci sono diverse cipolle della doccia, aspettiamo l’acqua… forse calda, forse fredda, chissà! Le porte di ferro, massicce, vengono chiuse. Da fuori non lo vediamo, ma un soldato porta con sé un bussolotto che contiene la nostra morte: Zyklon B, il gas che respireremo fra poco. Lo inserisce in un bocchettone fuori ed ecco che si espande, passa nei tubi fino ai fori delle docce e poi nei nostri polmoni.

La massa è confusa, all’inizio cerca di non respirare, batte i pugni sulle porte, urla, piange e si dispera. Il gas si espande, ci si ammucchia per arrivare in alto, dove il gas ancora non arriva, ma a cosa serve respirare ancora per qualche secondo ? La gente soffoca, comincia a morire. Solo pochi minuti e siamo tutti morti. Poi lasciano defluire il gas ed entrano gli addetti, bestie come noi, portano fuori i cadaveri. Li ripuliscono degli oggetti d’oro che trovano, persino i denti, e poi rasano loro il cranio, forse è più giusto dire “tosano”. Infine si va verso l’unica via d’uscita: i forni”.

 

Sparì per qualche minuto. Fuori c’era un innaturale silenzio, spezzato ogni tanto da qualche urlo nella lingua sconosciuta e metallica; solo io e qualche “ombra d’uomo” vagante eravamo presenti. Sembrava un momento di calma fra l’orrore dei recinti. Sentii le loro speranze che man mano si spegnevano come candeline al passare dei minuti, rimase solo qualche barlume di tenacia: “resistere per sopravvivere e per raccontare”, era il motto di qualcuno. Ma i più erano solo corpi vuoti, sacchi svuotati di ogni graniglia: non c’era più il seme della speranza, ed io provavo assieme a loro tutto questo, tanto che dovetti tenermi il cuore ed incoraggiarlo a battere perché non si spegnesse assieme a quello dei prigionieri.

L’irrealtà diveniva come reale, o almeno la sensazione era fortissima. Sentivo gli occhi chiudersi e piano piano lasciarsi andare.

D’improvviso mi sentii sollevata dal vento. Sentivo odore di persone ed il loro sussurro sfiorarmi i sensi e raccontarmi storie, ognuna diversa e carica d’umanità e tristezza. Ero nel vento assieme a loro, e trascinata da quel turbine che nasceva dalla fumata nera del comignolo che sovrastava i forni. Vidi Birkenau e i suoi abitanti divenire come formichine, vidi la ferrovia con la Juden Rampe ed il fiume di gente che si divideva nel delta.

Vidi tutta la strada che le voci nel vento mi suggerivano essere il percorso che migliaia di uomini hanno attraversato con qualsiasi tempo atmosferico e temperatura, sino ad Auschwitz.

Vidi la scritta “Arbeit macht frei” e compresi come lì il lavoro rendesse veramente liberi: lavorare sino alla morte che con il suo abbraccio ha avuto, per molti, il dolce sapore della libertà.

Vedevo lo scenario di morte nella sua orrenda logica ed integrità; compresi l’idea malsana per cui era stato creato e provai rabbia e disgusto.

Come si può trovare la maniera per uccidere nel minor tempo possibile e nel modo più brutale un uomo,  un popolo intero, riducendolo prima ad un branco di bestie ?

Presi per mano il bambino e lo accompagnai, danzando, nel vento.

 

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DARIO LOTTI

 

Ricordiamo per non sbagliare ancora.

 

Per ricordare le vicende degli ebrei nella seconda guerra mondiale, abbiamo visto in classe alcuni filmati di Auschwitz con le testimonianze dei pochi ebrei sopravvissuti alla deportazione; storie che sembrano irreali, quasi da film, storie a volte già sentite ma che ogni volta che si risentono fanno salire i brividi fino ai capelli; e pensare che sono passati solo una sessantina d’anni, è proprio questo su cui ho riflettuto di più, come è possibile che certe cose sono potute succedere neanche due generazioni fa?

Quello che è successo durante la seconda guerra mondiale nei confronti degli ebrei credo macchi per sempre la storia dell’umanità intera. Quello che mi ha colpito di più di questi filmati, oltre a rimanere sbalordito dalle storie dei sopravvissuti, è il modo con cui i tedeschi avevano preparato questa eliminazione di massa, in modo infido e crudele, e per giunta la scelta di inserire in questo piano diabolico anche l’ironia, facendo credere, all’inizio, agli ebrei che sarebbero stati portati in quei campi, che si trattava quasi di una vacanza. La domanda sorge spontanea: come può un uomo fare dell’ironia sapendo che quello che sta facendo porta alla morte di migliaia di persone?

L’unica risposta è che sono stati manipolati da una mente malata come quella di Hitler, ma questo è ancor più inquietante perché quindi una persona potrebbe  manipolare un’intera nazione e non solo. Visto che poi come si dice:” la storia si ripete”, è necessario ricordare questi avvenimenti per non farli assolutamente riaccadere.

 

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ANDREA MARCANTONI

 

Durante la seconda guerra mondiale moltissimi Ebrei furono presi dai ghetti delle loro città, dove vivevano una situazione di estrema emarginazione sociale, e vennero portati all’interno dei campi di concentramento. Il loro viaggio era terrificante; infatti venivano stipati in un vagone molto piccolo e venivano dati a loro due secchi,uno con l’acqua e uno per i bisogni fisiologici, i quali venivano svuotati solo una volta alla settimana. Il tragitto da percorrere poteva richiedere anche un mese di tempo.

Appena arrivati al campo di concentramento, gli Ebrei venivano “selezionati” in due gruppi, il primo composto da persone “adatte” ai lavori forzati, l’altro formato da gente non adatta al lavoro e allo sforzo fisico. Quest’ultimi venivano immediatamente condotti alle camere a gas, dove venivano sterminati. Le persone adatte venivano condotte all’interno della “sauna” dove venivano lavate e dove veniva fatto loro il tatuaggio di riconoscimento. I loro abiti venivano lavati dentro lavatrici a forma di autoclavi mentre i deportati erano costretti ad indossare un pigiama a righe molto leggero. In seguito venivano condotti all’interno di casolari, utilizzati come dormitori. All’interno delle camere a gas morirono all’incirca sei milioni di Ebrei, molti zingari, testimoni di Geova, omosessuali e prigionieri politici. Ognuno di questi gruppi sociali avevano un triangolo colorato cucito sulla giacca che serviva a distinguerli. A giorno d’oggi alcuni tra i sopravvissuti si rifiutano di raccontare la loro storia all’interno del campo di concentramento perché sono rimasti traumatizzati dalle atrocità commesse dai nazisti su di loro. Altri portano invece importanti testimonianze alle nuove generazioni e raccontano la loro vita nei lager. Tra le testimonianze piu’ illustre c’è quella di Shlomo Venezia, il quale racconta la sua tragica esperienza nel campo di concentramento e dice che i nazisti gli avevano dato l’incarico di tagliare i capelli ai cadaveri delle persone morte nelle camere a gas prima che venissero cremate. Altre testimonianze notevoli sono quelle delle sorelle Bucci, le quali all’epoca della Shoah erano molto piccole, Piero Terracina e Samuele Modiano. Dopo aver ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti credo che sia troppo poco definire atroci le vicende che si sono svolte ad Aushwitz. Ho trovato drammatico lo stato in cui queste persone venivano lasciate. Infatti  i casolari adibiti come dormitori erano bui, umidi e molto freddi con una assoluta mancanza di condizioni igieniche. Inoltre sui muri, ancora oggi, sono visibili i segni delle unghiate dei bambini, i quali presi dalla disperazione e dalla paura, cercavano di comunicare ed essere rassicurati dagli adulti. Anche quest’ultima cosa mi ha molto colpito. Oggi delle camere a gas non c’è quasi piu’ traccia; Infatti verso la fine della seconda guerra mondiale furono distrutte dai bombardamenti e attualmente, nel campo di concentramento di Aushwitz-Birkenau, sono rimasti solo pochi resti. Per concludere possiamo dire che tutti noi, dopo aver ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti dopo aver visto le atrocità commesse dai nazisti su queste persone, dovremmo impegnarci affinché  violenza e discriminazione vengano eliminate definitivamente dalla mentalità delle generazioni future.

 

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LUCA MOLTENI

 

La morte su quattro ruote

 

Sicuramente fu un evento che segnò un’epoca e che non verrà mai dimenticato. L’Olocausto, dai suoi diretti testimoni, viene ricordato con orrore, raccapriccio, disperazione, e questi sentimenti vengono espressi dalle immagini che scorrono davanti ai loro occhi incessantemente, sebbene a distanza di decine e decine di anni. I soldati nazisti irrompevano nelle case  e nelle abitazioni e ordinavano alle famiglie di scendere in strada, dove ad aspettarli c’era la Morte, con quattro ruote e l’insegna nazista, pronta a portarli in un luogo dal quale no sarebbero più tornati. Le S.S. iniziarono così ad arrestare e deportare tutti gli ebrei, tramite i loro treni che servivano a trasportare questi “carichi umani” nei campi di concentramento e di sterminio.

In una gran parte in Italia riuscirono a salvarsi grazie all’ospitalità dei conventi e grazie ad amici che li avevano avvertiti. Di questi campi ce ne furono molti, ma quello che ha lasciato di più una ferita nei cuori delle persone è Auschwitz. In questo lager, come anche negli altri, le donne, i vecchi e i bambini venivano portati nelle camere a gas.

La crudeltà dei nazisti era di far vedere a queste persone di dover fare dolo una semplice doccia, ma dai rubinetti non sarebbe scesa acqua ma un gas mortale. I pochi uomini e donne che non venivano inviati alle docce invece erano costretti a lavorare dovendo soffrire per il freddo, la fame, le torture naziste ed altre cose … L’intento era quello di sterminare totalmente la “razza” ebraica. A Roma, dopo l’apertura delle porte di Auschwitz, sono tornati solo 15 uomini e una donna di quelli deportati il 16 ottobre 1943. Essi hanno dimostrato una forza d’animo straordinaria, la stessa forza che è servita loro per crearsi la normalità e per ricrearsi un piccolo angolo di paradiso dopo essere passati per l’inferno.

 

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VARINIA NARDI

 

Un’esperienza da non dimenticare

 

Auschwitz 1 è uno dei tanti campi di concentramento che i nazisti installarono in Europa (circa 1700) dal 1933 al 1945. Il complesso concentrazionario di Auschwitz è costituito dai Lager principali di Auschwitz 1, Auschwitz 2 Birkenau e Auschwitz 3 che furono installati in tempi diversi.

I campi dipendenti dal complesso di Auschwitz sono 50, in questo complesso sono state immatricolate 405mila persone, di cui 132mila donne e migliaia di bambini. Di questi molti non furono immatricolati ed è infatti difficile conoscere il numero reale delle persone deportate. Il campo di sterminio di Auschwitz 1 è stato istituito nell’aprile del 1940 e liberato il 27 gennaio 1945 dal’esercito dell’Armata Rossa.

Dopo l’occupazione della Polonia avvenuta nel settembre 1939, alla fine dell’aprile 1940 i nazisti trasformarono in lager gli edifici ristrutturati dell’ex caserma di Oswiecim (da cui poi Auschwitz in tedesco). Nel corso degli anni furono effettuati molteplici interventi di ampliamento della struttura; qui inoltre furono avviate le procedure per la gassazione di massa attraverso lo Zyklon B e, a partire dal 1943, iniziarono diversi esperimenti pseudo-scientifici, utilizzando i deportati come cavie. Il primo edificio che si incontra, prima di entrare nel lager stesso, era adibito alle procedure di ingresso dei deportati, ovvero la spoliazione, la depilazione, la doccia, la disinfezione e infine l’immatricolazione.

L’ingresso alla zona del lager dove si trovano i blocchi dei deportati è contrassegnato da un cancello in ferro su cui si legge il motto ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi. Questo messaggio “rieducativo” con il suo aspetto paradossale era presente in molti altri campi. Percorrendo la strada del lager è possibile vedere gli edifici usati come blocchi per i deportati sia uomini che donne. Questo blocchi sono oggi utilizzati a scopo espositivo di materiale di vario genere.

Il blocco 4 “sezione sterminio” è oggi allestito a museo articolato in diverse sezioni dove sono esposti i materiali che si riferiscono all’eliminazione di massa, come i contenitori di Zyklon B, i capelli delle donne che furono mandati per la maggior parte alle industrie tessili tedesche, e anche rotoli di tessuto fatti utilizzando i capelli delle vittime.

Nel blocco 5 si trova la sezione “prove materiali dei crimini” che ospita documenti e oggetti personali presi durante le procedure di spoliazione come lucidi da scarpe, spazzole, protesi di vario genere, occhiali, valigie, scarpe e vestiti.

Il blocco 6 “Sezione vita del deportato” ospita materiali che descrivono le procedure d’ingresso come foto dei momenti di immatricolazione, abiti a strisce e zoccoli di legno indossati dai deportati e il distintivo a forma di triangolo che veniva assegnato per la classificazione in base al motivo di deportazione: due triangoli gialli a formare una stella per gli ebrei, un triangolo verde per i criminali, un triangolo viola per i testimoni di Geova, un triangolo marrone per gli zingari,un triangolo rosa per gli omosessuali, e uno rosso per i prigionieri politici.

Proseguendo il cammino all’interno del campo troviamo il blocco 7 dove si trova la “sezione di condizioni di vita e igiene del deportato”, dove sono esposti i giacigli costituiti da semplici sacchi posizionati a terra sui quali i deportati erano costretti a dormire, e le latrine e i lavatoi.

Nel cuore del campo troviamo il blocco 11 detto “bunker della morte” nel quale si effettuavano le punizioni e l’annientamento diretto. Erano annessi al blocco l’ufficio della Gestapo, dove avvenivano gli interrogatori e i processi ai deportati, e nello scantinato, le celle.

Proseguendo si entra nella “piazza dell’appello” nella quale si effettuava il controllo giornaliero attraverso l’appello numerico; nello stesso luogo si trovava il patibolo per le impiccagioni pubbliche, dove nel 1947 fu impiccato Rudolf Höβ, l’ultimo dei comandanti del lager condannato dal supremo tribunale polacco del popolo. Il complesso del campo termina con le strutture delle camere a gas e dei forni crematori. La particolarità di queste camere a gas sta nel fatto che a differenza di altre strutture simili presenti in altri campi, presentavano dimensioni notevoli e non erano camuffate a doccia. E’ infatti possibile , se si rivolge lo sguardo al soffitto, notare delle aperture presenti su tutta la lunghezza della camera dalle quali venivano immessi cristalli di Zyklon B.

 

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ALICE ONORE

 

5 Gennaio 2010: tra ventidue giorni verrà celebrata la decima giornata della memoria, data riconosciuta dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, con il fine di ricordare lo sterminio del popolo ebraico e la deportazione degli altri perseguitati. La memoria deve essere sempre mantenuta viva e per fare in modo che questi eventi non cadano nell’indifferenza e nella dimenticanza collettiva, occorre tenere queste vicende ferme e salde nelle menti e nei cuori di ciascuno di noi. La memoria è un impegno del presente ma rivolto al futuro: le atrocità di quei fatti devono transitare nella memoria e rivivere nelle parole dei sopravvissuti per poi diventare insegnamento e monito per le generazioni successive. Ogni testimonianza arricchisce la nostra conoscenza dei fatti, rinnovandoci nella mente un evento che per la sua drammaticità rischia di essere confuso con l’immaginario. Primo Levi disse infatti: “ se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Per i testimoni è fondamentale ricordarci l’importanza dei valori autentici come la libertà e la tolleranza, che mai devono darsi per scontati e che a loro purtroppo sono stati negati. Abbiamo sentito le storie di alcuni testimoni come le sorelle Bucci e Piero Terracina che, emozionati e profondamente segnati, hanno riportato le sensazioni e le vicende che li hanno coinvolti. Sentire che un bambino, credendo di raggiungere sua madre, è stato in realtà portato alle camere a gas, capire che il fumo nero e l’odore acre venivano dai forni; sentire di esperimenti su persone vive e iniezioni di fenolo al cuore o ancora raccogliere montagne di scarpe, capelli, occhiali… sono particolari che vanno al di là dell’immaginabile. Più si conosce e più diventa difficile trovare un perché: di certo non si può giustificare attraverso la follia. Non si può spiegare tutto con l’odio, poiché l’odio è istintivo e non ha l’organizzazione e la razionalità che portò a tutto questo: ad Auschwitz non c’era sentimento. Di tempo ne è trascorso ma la vergogna e il terrore di quegli eventi vivranno per sempre. Non potremo mai comprendere appieno il dolore e la sofferenza, l’unica soluzione che abbiamo è mantenere acceso il ricordo e vivere nella speranza che eventi simili non vengano mai più replicati, perché ogni uomo ha diritto di essere libero e di avere una dignità e nessuno può negare l’uguaglianza e nascondere la giustizia. “quando arriva la conoscenza, arriva anche la memoria”. ( Gustav Meyrink)

 

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GUGLIELMO PICCIONE

 

GIORNATA DELLA MEMORIA 2010 (27/01/2010)
RICORDO DEL VIAGGIO DELLA MEMORIA COMPIUTO NEL 2007 DAGLI STUDENTI DEL LICEO MANARA

 

Gli studenti del liceo Manara hanno partecipato nel 2007 (per la prima volta, ma poi anche nel 2008 e nel 2009) insieme ad altre scolaresche romane al “Viaggio della Memoria” che si svolge ogni anno per ricordare l’olocausto.

Il video è stato proiettato in classe è stato registrato durante il viaggio del 2007 e tratta della deportazione, raccontandola da una particolare prospettiva, appunto attraverso le immagini dei luoghi in cui avvenne il fenomeno in questione e le testimonianze dei sopravvissuti.
Gli studenti del liceo Manara hanno visitato alcuni dei luoghi della Shoa (parola che in ebraico significa catastrofe), ed in particolare i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, dove migliaia di ebrei strappati dalle loro case e deportati verso questi campi vennero brutalmente sottoposti ad un genocidio.

I giovani studenti sono stati accompagnati da alcuni ebrei ex deportati che sono riusciti a sopravvivere. Una delle tappe del viaggio è stata la visita del museo di Auschwitz, nel quale sono conservati tutti gli oggetti personali che i deportati avevano con sé al momento della deportazione (spazzole, occhiali, scarpe e vestiti). All’interno del museo è stato spiegato come gli ebrei venivano divisi e privati dei loro effetti personali.

Durante la sera, i ragazzi, hanno avuto la possibilità di effettuare interviste private con i sopravvissuti. La visione del filmato ci ha permesso di venire a conoscenza, attraverso la testimonianza di alcune persone, di fatti realmente accaduti raccontati proprio da chi li ha vissuti in prima persona.

Dalla importante testimonianza delle sorelle Bucci, sappiamo che gli ebrei, non appena giungevano al campo di concentramento, dove erano stati destinati, venivano divisi per sesso ed età.

Andra e Tatiana Bucci all’epoca della loro deportazione erano poco più che bambine e raccontano con estremo dolore, come venero separate dalla loro madre e portate in un’ala del campo di concentramento dove era vietato l’accesso agli adulti; raccontano inoltre del loro “cuginetto” il quale fu brutalmente ucciso, in un altro campo per mano di un collega del medico nazista Josef Mengele, Il quale ha  compiuto orribili brutalità, da lui definite “esperimenti scientifici”, sacrificando migliaia di bambini innocenti.

Aveva invece 14 anni Sami Modiano, nativo della città di Rodi, quando enne deportato ad Auschwitz dove vide sterminati decine di suoi parenti, trucidati dai nazisti.

Shlomo Venezia ha raccontato invece di aver fatto parte del Sonderkommando, la squadra di prigionieri che era costretta a “lavorare” con i nazisti nelle camere a gas e nei crematori di Birkenau.

Tutto l’orrore vissuto dal popolo ebreo deportato nei lager è percepibile anche solo da queste poche testimonianze, ancora oggi toccanti, che suscitano in noi una sensazione di sgomento per le bassezze che l’uomo è in grado di compiere per odio verso altri individui, sensazione che nessuno di noi potrà mai cancellare, ma che dovrà essere tramandata attraverso la storia, per insegnare alle generazioni future che l’essere umano è in grado di imparare dai propri errori e deve perseguire fini e scopi di vita positivi per l’intera umanità, che contribuiranno a migliorare il mondo, garantendo un futuro più proficuo per tutti.

 

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FEDERICA RICOTTI

 

Per non dimenticare

 

La storia, è risaputo, va conosciuta per non commettere gli stessi sbagli del passato. Inoltre però va ricordata per non dimenticare. Ai giorni d’oggi, grazie all’istruzione, conosciamo e ricordiamo la storia, fatti importanti, belli o brutti che siano. In pochi però abbiamo la fortuna e la possibilità di partire per visitare i campi di concentramento, in cui si sono svolti i fatti dello sterminio, durante la Seconda Guerra Mondiale. A volte, oltre a non avere queste opportunità, manca anche l’interesse a volere essere informati. E da questo si crea il popolo ignorante che addirittura nega e trova

giustificazioni. Ma non si può negare, ne tanto meno sminuire di fronte alle dichiarazioni dei sopravvissuti a questo evento storico. Gente che, anche se ai quei tempi era solo un bambino, al doloroso ricordo piange. L’Olocausto è uno degli avvenimenti tristi e di cui vergognarsi della storia italiana e europea, ma che purtroppo c’è stato e, aderenti o no ad alcuni ideali non va rinnegato o dimenticato. Non deve essere dimenticato soprattutto per il rispetto di tutte quelle persone che hanno sofferto ingiustamente e hanno vissuto situazioni surreali, proprio per il fatto che abbiano dovuto subire maltrattamenti disumani che vanno oltre l’immaginazione. Perche non è possibile che uno possa ritenere giusto cancellare dal mondo qualcuno che ha i tuoi stessi diritti, essendo umano, ma che ha una cultura diversa. Neanche l’odio può portare a tanto, ma solo l’ignoranza, la stupidità e la pazzia. A me personalmente vengono i brividi a sentir parlare delle leggi razziali, dei maltrattamenti ingiusti che ebrei, persone diversamente abili, omosessuali, oppositori politici e zingari abbiano dovuto subire e sotto questo punto di vista mi vergogno di questo capitolo della storia italiana ed europea, ma sopratutto mi vergogno e mi preoccupo del fatto che ci siano delle persone della mia età che ascoltando questi fatti continuano a sostenere che sono stati giusti e, se fosse per loro le leggi razziali tornerebbero ad essere applicate. E mi fa rabbia pensare a come sia possibile che nel 2010 in Italia siamo così indietro, quasi da sembrare, e praticamente lo siamo, un paese del terzo mondo.  

 

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BEATRICE ROSSI

 

I campi di concentramento in Polonia

 

 Quando Hitler salì al potere come cancelliere e presidente del Terzo Reich si occupò subito di un importante problema:gli oppositori politici. A questo problema trovò una soluzione che fu annunciata via radio da Heinrich Himmler il 21 marzo 1933: il giorno successivo sarebbe stato aperto il campo di lavoro di Dachau. Inizialmente il problema si presentò solo per gli oppositori politici poiché per gli ebrei sarà adottato un altro tipo di segregazione: il ghetto. Il primo fu costruito in Polonia nell’ottobre 1939 a Piotrków Trybunalski. Esistevano tre tipi di ghetto: i ghetti chiusi, quelli aperti e quelli destinati alla distruzione. Il ghetto più grande in Polonia fu quello di Varsavia, dove oltre 400.000 Ebrei vivevano ammassati in un'area di meno di due chilometri quadrati. Altri grandi ghetti furono creati nelle città di Lodz, Cracovia, Bialostock, Lvov, Lublino, Vilnius, Kovno, Cestokowa e Minsk. Uno dei primi 5 ghetti della Polonia fu quello di Cracovia, che fu fatto costruire il 3 Marzo 1933. Il muro che separava il ghetto dal resto della città era costruito con le lapidi poste sulle tombe degli ebrei e le finestre che si affacciavano fuori dal ghetto furono murate. Il campo di Dachau poteva contenere 5000 persone ma quando agli oppositori politici furono aggiunti ebrei, zingari, preti e pastori ostili al regime, criminali comuni, omosessuali e “asociali” , nel 1937 i prigionieri furono costretti a costruire un nuovo campo. Per distinguere queste categorie vennero adottati dei simboli: per gli ebrei la stella di Davide di colore giallo mentre per gli altri dei triangoli colorati, per i testimoni di Geova viola, per i politici rosso, per gli omosessuali rosa, per gli zingari marrone e per i criminali comuni verde mentre per le persone che venivano considerate possibili fuggiaschi veniva assegnato anche un cerchio nero. Il campo di Dachau fu liberato il 30 Aprile 1945 dagli alleati che rimasero inorriditi dallo spettacolo che si aprì loro davanti. Altri campi “importanti” sono quelli di Auschwitz che a loro volta sono divisi in Auschwitz 1, che consisteva in un ex caserma dell’esercito polacco,  Auschwitz 2 o Birkenau, aperto nel 1942, e Auschwitz 3 o Monowitz, aperto anch’esso nel 1942. Auschwitz 1  aperto nell’aprile 1940, fu reso operativo il 14 giugno 1940, si apre con un cancello con sopra un’insegna “Arbeit macht frei” che significa “il lavoro rende liberi”, un avvenimento recente che ha trovato protagonista questo simbolo è successo la notte tra il 17 e il 18 dicembre 2009 quando cinque uomini hanno sostituito la scritta originale con una copia, l’originale è stato rinvenuto qualche giorno dopo nel nord della Polonia tagliata in tre pezzi. Nel 1943 cominciarono gli esperimenti effettuati dal dottor Mengele. Quando i deportati scendevano dal treno venivano messi in fila e davanti c’era il Dottore che sceglieva coloro che dovevano essere mandati subito nella camere a gas e chi invece poteva servire ancora. Il campo di Auschwitz I era diviso in blocchi, il primo edificio che si incontrava era “l’accoglienza", in seguito i trovava il Blocco 4 la sezione sterminio, oggi adibita a museo, dove vengono conservati gli oggetti personali dei prigionieri come scarpe, protesi, spazzole, occhiali, capelli, stampelle, lucido per scarpe, vestiti per bambini, borse e valigia. Nel Blocco 5 erano contenuti i documenti dove si affermava che le morti avvenivano per arresto cardiaco; nel Blocco 6 era la sezione vita del deportato oggi sono esposti i triangoli. Il Blocco 11 consisteva in un bunker dove nello scantinato c’erano delle celle. Al centro c’era la “piazza dell’appello”  dove gli internati venivano chiamati attraverso il numero che avevano sul braccio, dove era situato il patibolo per le impiccagioni pubbliche e le fucilazioni. Le camere a gas e i forni era situati nello stesso edificio, particolarità di questo campo fu che le “docce” non erano camuffate come avvenne in altri campi. Una cosa che ebbero in comune tutti i campi fu che erano circondati, o avevano, una fossa d’acqua per gli incendi. Per lo smaltimento dei cadaveri inizialmente si pensò di sotterrarli ma quando le camere a gas cominciarono a lavorare a “tempo pieno” non fu più possibile smaltire tutti i cadaveri e da quel momento vennero adoperati i forni crematori;  dopo aver introdotto i corpi in questi forni venivano tirate fuori le ceneri e setacciate per separare la ceneri da altri residui e disperderla poi nel corso d’acqua adiacenti ai campi. Ci furono anche dei tentativi da parte dei nazisti nel cercare il gas migliore per operare le uccisioni di massa, inizialmente il gas usato era lo scarico dei camion successivamente si adoperò Ziglon BI , un gas solido conservato in scatole di latta che evaporava e in circa 10 minuti si poteva aprire la porta e cominciare a liberarsi dei cadaveri. Il campo di Auschwitz fu liberato il 27 gennaio 1945 ma gli alleati trovarono solo i prigionieri in fin di vita perché i nazisti attraverso le “marce della morte” avevano spostato coloro che erano ancora in buone condizioni in altri campi per portare a compimento il piano iniziale di Hitler o per adoperarli durante la guerra per la costruzione di trincee. In molti campi sono stati ricostruiti i forni e le camere a gas poiché quando i nazisti se ne andarono fecero saltare tutto in aria per non lasciare prove.

 

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CHIARA SABATELLO

 

Testimonianza

 

Parlare dello sterminio degli ebrei per me non è facile, perché sono emotivamente coinvolta. Porto infatti dentro di me, sin da piccola, un’enorme ferita che no si potrà mai rimarginare. I racconti delle mie nonne e dei miei parenti mi hanno insegnato che la crudeltà dell’uomo può raggiungere livelli indescrivibili e quasi impensabili, però “tutto ciò” è accaduto. Per questo motivo ho scelto di non riferire il mio pensiero ed il mio disperato sentimento, che più volte ho espresso, ma ho preferito riportare la testimonianza di un mio parente che non ha certo bisogno di alcun commento.

 

CARPI DI MODENA, 16.05.44

Cara figlia, è papà che ti scrive da Modena, perché io sono stato trasferito da Verona con Carlo e ci hanno portato al campo do Carpi dove non sapendo nulla e all’oscuro dell’accaduto, con sorpresa e dispiacere ho trovato mamma e Mimmo. Ti raccomando con poche parole la mia sorpresa trovando mamma così sola e desolata, allora si è messa l’anima in pace, seguendo il destino che ci porterà con sé. Ora partiamo tutti in convoglio per ignota destinazione, chissà dove, ma si crede lontano dall’Italia, andremo a trovare zio Angelino e siamo circa 800. Ti raccomando cara figlia di non piangere e di darti coraggio, giarda bene Mara e Umberto, noi ritorneremo ti giuro, sarò sempre vicino a mamma, come ora, sii forte, e pensate a voi. Non fare sciocchezze e preghiamo per voi ! Dopo la disgrazia il Signore Iddio ha voluto almeno di unirci insieme noi quattro. Ti scrivo dal treno certamente il viaggio sarà molto brutto. Ma lo sopporteremo con la speranza che presto vi riabbracceremo. Certamente non avrete per ora più nostre notizie. Ma non ti allarmare. Stai attenta a non farci stare in pensiero. D-o ti aiuterà. Il destino ha voluto di trovarci come mamma. Saluti e baci a tutti. Bacioni tanti a Mara e vi do la santa benedizione. Baci a Cesare, Umberto zii e tutti. A te ti bacio tanto e un abbraccio, tuo padre.

                                                                                                          Tranquillo

 

Attualmente questo documento è conservato nel Centro di documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (C.D.E.C.) insieme a tante altre testimonianze.

 

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FILIPPO SCOTTI

 

Il 27 gennaio è la giornata dedicata alla memoria della Shoah, ogni anno partono gruppi di giovani studenti per Auschwitz accompagnati da alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento e altre date come il 16 ottobre sono volte a ricordare i tremendi avvenimenti che sono accaduti tra il 1940 e il 1945. La Germania nazista con a capo Hitler e con il suo esercito di S.S. fece uso di campi di sterminio, di cui ancora ogi ci sono i resti, in cui vennero deportati ebrei, omosessuali, zingari e testimoni di Geova, dove vennero infine sterminati. Riguardo il massacro degli ebrei si può parlare di un vero e proprio genocidio: gli ebrei polacchi furono azzerati, quelli tedeschi decimati come i Russi, mentre l’Italia è la nazione in cui ben quattromila si sono salvati grazie alla solidarietà delle persone che li hanno ospitati e nascosti. Infatti la giornata della memoria è dedicata anche a costoro che, pur rischiando la stessa punizione se presi in flagrante, hanno tenuti segreti nelle loro abitazioni ebrei salvandoli da una terribile fine: molte persone si sono rifugiate dalle suore e nei monasteri dove venivano accolti. Dunque la memoria è importante soprattutto nei più giovani che non sanno, che non hanno vissuto sulla propria pelle questa terribile esperienza e per questo ciò che i superstiti di questo genocidio ci hanno raccontato è estremamente importante. Grazie al nostro professore di italiano abbiamo potuto vedere un video riguardo i campi di concentramento e ascoltato le storie di queste persone: la maggior parte di lo ha scritto un libro per narrare le proprie esperienze, gli orrori che hanno visto e sentito e i rischi che hanno corso. Alcuni hanno tenuto il tatuaggio, che è stato fatto loro e che li ha resi numeri, che è rimasto come una macchia indelebile e mi ha colpito la risposta di Goti Bauer per la sua veridicità quando le hanno chiesto se si sentiva in colpa per essere sopravvissuta e ha risposto: “Io non mi sento in colpa perché non ero io a commettere quei tragici orrori”. Queste le parole di una donna la cui fiducia fu tradita sul confine per la Svizzera e consegnata alla Guardia di Finanza italiana e in seguito mandata al campo di concentramento di Birkenau. Un’altra cosa che mi ha colpito è stata la mente malefica dei tedeschi perché sono riusciti a gestire le varie situazioni e i relativi problemi evitando il panico e convincendo veramente queste persone che non stavano andando a morire: ciò significa, dal mio punto di vista, che né il Führer stesso, né coloro che lo hanno seguito, fossero in realtà pazzi per concepire ed eseguire questi ordini, ma credevano effettivamente in quello che facevano. Essendo noi il futuro dobbiamo assolutamente comprendere a fondo il messaggio che deriva da questo tipo di esperienze e soprattutto iniziare a ragionare con la nostra testa perché, se l’avessero fatto anche tutti gli uomini che hanno contribuito a questo massacro invece di farsi prendere dalla paura e dal panico, molte vite sarebbero state salvate.

Risulta da allora di essenziale importanza tramandare la conoscenza di questi avvenimenti nella speranza che non si ripetano e dunque, se la scuola è maestra di vita, dobbiamo essere dei bravi alunni !

 

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FRANCESCO SERAFINI

 

1939-1945: “La tragedia di Auschwitz”

 

Durante gli anni che vanno dal 1939 -1945, una terribile tragedia colpì l’intera Europa. In questi anni, avvenne quasi uno sterminio da parte dei tedeschi, di tutti gli ebrei, che ignari di tutto quando capirono la situazione fu ormai troppo tardi. Le molte testimonianze giunte fino a noi, ci espongono di fatti avvenuti in quegli anni non umani, ma anche dei metodi che adottavano i tedeschi. Quest’ultimi prima deportavano quanti più ebrei possibili nei vagoni dei treni, in condizioni pessime, poi una volta arrivati a destinazione, i deportati venivano divisi in due gruppi: uno, formato da persone, che a loro parere non potevano servire per lavorare, quindi venivano inviati nelle camere a gas; l’altro era formato da persone, in genere ragazzi e uomini molto forti e in grado di lavorare all’interno dei campi di concentramento. A tutti gli ebrei veniva tolta la propria dignità, nel senso che veniva loro tolto il nome e dato un numero, il quale in seguito veniva tatuato sull’avambraccio sinistro e venivano tutti rasati a zero per evitare la diffusione di malattie e dei pidocchi. All’interno dei campi di concentramento, inoltre, c’era anche un dottore, il signor Mengele, che aveva il compito non solo di visitare e giudicare se un ebreo fosse idoneo a lavorare oppure no, ma anche quello di fare esperimenti sull’uomo; mi collego a questo fatto per citare la storia delle “gemelle Bucci”. A quel tempo avevano pochi anni, ma essendo state scambiate per due gemelle, per la loro somiglianza, furono oggetto di molti esperimenti da parte di Mengele. Un’altra testimonianza è quella di Shlomo Venezia, un uomo estremamente “fortunato”, che catturato in Grecia e portato nei campi di Auschwitz, per sua “fortuna” venne preso a lavorare nei forni crematori, avendo il compito di tagliare i capelli ai cadaveri, un lavoro disumano e faticoso, Che gli permise però di sopravvivere a quel massacro. In conclusione, a mio parere, gli anni della deportazione e quindi anche della seconda guerra mondiale, non si possono comprendere solo con delle testimonianze o attraverso i libri, ma per capire a pieno il disastro provocato bisognerebbe esserci stati e così anche per comprendere in questo caso la follia dell’uomo fino a dove sia potuta arrivare. 

 

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JACOPO UNDARI

 

Auschwitz I Birkenau

 

Dopo aver visto Auschwitz e Birkenau sicuramente non dimentichi tutte quelle sensazioni che provi durante la visita di quei luoghi pieni di dolori. E’ proprio questo che mostrano i due campi di concentramento presenti in Polonia, già dall’aria che si respira si capisce che ci si trova in luoghi di morte. La vastità di Birkenau sorprende e lo rende ancor più cupo e isolato. Subito dopo l entrata, si nota il grande binario che sembra perdersi nella nebbia. Pian piano Birkenau mostra tutta la sua crudeltà  partendo dal fil di ferro messo strategicamente per bloccare ogni fuga, fino ad arrivare al perfetto allineamento delle varie costruzioni. Birkenau ammutolisce chiunque calpesti il suo terreno, e toglie il fiato a chiunque ci si addentri giungendo fino a quello che rimane di crematoi. Crematoi che vengono ancora visti funzionanti da Sami Modiano e le sorelle Bucci, sopravvissuti che sembrano rivivere ogni passo. I loro ricordi sono agghiaccianti, le loro voci commosse ma forti. Parlano dei numeri tatuati sulle loro braccia che sostituivano i loro nomi,ricordano le torture e gli esperimenti che venivano fatti su di loro, ricordano un terribile massacro. Sono forti le sensazioni che si provano soprattutto quando ci si riferisce ad Auschwitz I . colpiscono soprattutto i musei situati all interno del campo, questi contengono foto e documenti dei deportati che venivano schedati, come ricordano i testimoni. In queste stanze troviamo molti loro oggetti personali, dalle valige ai pettini, sino alle borse. Persone che sembrano essere lì con le loro valige, con l illusione di trovare un luogo migliore. Sensazione che e’ molto più forte alla vista di quella montagna di capelli ormai bianchi che giacciono dietro un immenso vetro,in una delle tante stanze. “il lavoro rende liberi”,troviamo proprio questa scritta sulla porta di ingresso di Auschwitz I, scritta che mostra come tutti i deportati siano stati ingannati e illusi e resi liberi solo dalla morte.

 

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ANDREA VICINI

 

Nelle ultime quattro lezioni d’italiano del 2009 abbiamo visto in classe un filmato che arra contava l’esperienze vissute nei campi di concentramento tramite interviste a i superstiti. Questo filmato che dura circa due ore è stato registrato dal professore di italiano durante la visita ai campi di concentramento polacchi. Il filmato è suddiviso in due blocchi; nel primo vengono ripresi questi luoghi, mentre nel secondo ci sono le interviste ai sopravvissuti. Nella prima parte si vede l’ingresso con la celebre scritta: Il lavoro rende liberi, le docce, i forni, le camere a gas e inoltre l’interno di queste ex caserme militari, diventati campi di sterminio, è stato adibito quasi come museo. Infatti ci sono diverse foto dei protagonisti di allora, anche oggetti come scarpe, occhiali , stampelle, bottoni e persino un gran raggruppamento di capelli. Sono immagini molto forti che fanno trasparire molto dolore anche attraverso le telecamere. La seconda parte del filmato si svolge in una sala dell’hotel dove alloggiavano i partecipanti di questo progetto. Le interviste vengono fatte a Shlomo Venezia, alle due sorelle salvatesi poiché scambiate per gemelle e al sig. Terracina. Ognuno racconta la propria  esperienza tramite qualche episodio che la mente ormai invecchiata non ha offuscato. In seguito l’intervistati come Shlomo e Terracina consigliano, a chi volesse maggiori informazioni di comprare i libri con all’interno le proprie esperienze. A mio parere questo progetto del comune di Roma realizza ogni anno è molto importante, saggio ed istruttivo; infatti questi superstiti sono giunti ormai quasi alla fine della propria vita e noi siamo l’ultima generazione che può ascoltarli e vederli di persona, dopo di che sarà compito nostro divulgare tutte le loro esperienze a coloro che vorranno in futuro, affinché episodi di questo genere non si vengano più a creare.

 

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FINE